L'uomo, raggiunto il marciapiede all'angolo della strada, si chinava, apriva la valigetta ventiquattrore che si portava appresso e ne estraeva un cartoccio nel quale era avvolta una polpetta. Era un uomo distinto: viso rasato, camicia bianca, giacca nera, pantaloni neri. In testa portava una bombetta nera che copriva capelli grigi, lisci e ordinati. Tolto l'involucro di carta, e dopo averlo riposto nella valigetta che sistemava, una volta chiusa, accanto alla gamba destra, egli, assumendo la posizione eretta, disponeva con cura la palletta di carne macinata nella mano destra, il palmo rivolto verso l'alto, l'avambraccio teso in avanti, un po' mendicante che chiede l'elemosina, un po' cameriere che porge il vassoio agli invitati. Egli con espressione seria e concentrata rimaneva un'ora così, fermo, senza muovere un muscolo. Terminata l'ora risistemava la polpetta nella valigetta e se ne andava. Tutti i giorni così. Non si sa se la polpetta fosse sempre la stessa o se ogni giorno ne portasse una nuova da esporre, nessuno glielo chiese mai. La signora che abitava nella casa di fronte aveva provato un giorno a parlargli, a chiedergli il perché di quel suo strano rituale, ma lui era rimasto fisso, senza muovere ciglio, senza dire una parola, si era limitato soltanto, prima di andarsene, a rivolgere un cenno di saluto sollevando lievemente il cappello dalla testa in direzione della signora che, incerta se avvertire o meno i carabinieri, lo osservava dalla finestra di casa. Non sembrava egli un artista, e quella poi era una via poco trafficata di un quartiere in periferia. Poi un giorno arrivarono gli alieni e se lo portarono via.